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LA DIFFICILE SCELTA FRA I DIVIDENDI DELLA PACE E QUELLI DELLA STORIA

      

   

Editoriali

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


I conflitti attuali insegnano ad avvalersi dei dividendi della storia per non incorrere in errori.

 

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Attualitą

LA DIFFICILE SCELTA FRA I DIVIDENDI DELLA PACE E QUELLI DELLA STORIA

I conflitti attuali insegnano ad avvalersi dei dividendi della storia per non incorrere in errori.

(Assisi PG, 06/04/2024)

LA DIFFICILE SCELTA

FRA I DIVIDENDI DELLA PACE E QUELLI DELLA STORIA

Premessa

Una storia che sistematicamente si ripete: finita la guerra si pensa di poter mettere definitivamente in “naftalina” lo strumento bellico, salvo poi accorgersi che il pericolo di essere coinvolti negli attuali conflitti é latente ed anzi, per conservare il precedente clima di sicurezza garantito dalla “guerra fredda”, alla fine servono molti più soldi di quelli risparmiati.

Introduzione

Dopo la caduta del Muro di Berlino, in Occidente é “scoppiata” la pace e, con la logica dei pacifisti a tutti i costi, molti hanno pensato che fosse arrivato il momento di mettere lo strumento bellico “in naftalina”, risparmiando denaro da investire nel sociale. Ma gli stessi benpensanti hanno dimenticato che la guerra é un fenomeno latente, connaturato con l'uomo, e che la pace non é una conquista perpetua e va continuamente difesa. Ecco dunque che la nuova situazione ha fatto scoprire all'Occidente l'inadeguatezza del suo strumento militare, insufficiente negli effettivi e per molti aspetti obsoleto, ovvero non in condizioni di affrontare, nel tempo e nello spazio, una situazione ad alta intensità, come sta avvenendo in Ucraina. Per il futuro, oltre a liberarsi dalla pericolosa “cecità del pacifismo”, occorre fare ricorso con continuità ai “dividendi della storia”, al fine di non pagare un dazio troppo alto dall'errato impiego dei “dividendi della pace”. In buona sostanza, utilizzando al meglio gli insegnamenti che si possono trarre dalle esperienze maturate. Nel 1991, con la caduta del Muro di Berlino, molti hanno pensato che, con la fine della guerra fredda in Europa, fosse “scoppiata” finalmente la “pace”, ma allo stato attuale, il riapparire del fenomeno guerra sul suolo europeo, con i rumori delle artiglierie appena fuori dalla porta di casa nostra, noi ci troviamo a dover pagare, proprio noi, i dividendi della pace che credevamo interessasse a tutti. In effetti, circa 33 anni fa, con l’implosione dell'URSS, la pace delle nazioni duratura era apparsa come una speranza concreta all'orizzonte. Vero che altre guerre hanno comunque funestato la tranquillità acquisita nel tempo, nei Balcani, in Somalia, in Algeria, ma esse risultavano psicologicamente lontane dalle nostre preoccupazioni e soprattutto dalle nostre aree di competenza. Erano guerre covate per decenni ed esplose per  deterioramento dei rapporti e naturale escalation, che si combattevano in un lontano “altrove” geografico e tale da dare l’impressione  che si trattasse in fondo di scaramucce locali. Tutti i paesi occidentali potevano quindi iniziare ad incassare i dividendi della pace, economizzando sul bilancio militare e quindi stornare il risparmio a beneficio del bilancio sociale. Non è un segreto che gli investimenti militari fossero crollati ovunque, anche al di sotto dei livelli di guardia richiesti dagli accordi internazionali. Abbiamo assistito, non senza apprensione, alla chiusura di basi militari, allo scioglimento di reparti di frontiera, alla drastica riduzione degli arruolamenti, all’abbandono di caserme, alla dismissione di armamenti, all’archiviazione di Piani Operativi di Difesa. Insomma, una dissoluzione frettolosa e incontrollata soprattutto della Forza Armata Esercito. Basti ricordare la dieta dimagrante del 1975 (riduzione degli effettivi, mancata sostituzione dei materiali obsolescenti ed obsoleti) passata alla storia come una eufemistica “ristrutturazione”. Ovunque, a parte qualche “novità” in fatto di armamenti e materiali, la struttura difensiva militare del Paese subisce, anno dopo anno, un sensibile impoverimento. Il fenomeno andrebbe approfondito circa le responsabilità politiche dei Governi interessati e l’accondiscendenza distratta per non dire connivente delle alte gerarchie con le stellette. Tuttavia, il quadro sociale circostante della nazione, alla fine non ha beneficiato dei cospicui risparmi realizzati con il quasi disarmo. Nel campo sociale abbiamo assistito al moltiplicarsi di fatti ed episodi quando imprevedibili, quando trascurati o sottovalutati: danni da terremoti e alluvioni, aumento della disoccupazione, crescita della povertà, crisi sanitaria nazionale causata dalla nota pandemia di origine cinese, incredibili e incontrollato aumento del debito pubblico e incauti ed irresponsabili sfondamenti del bilancio nazionale attuati con estrema leggerezza da personaggi non adatti a governare  e per concludere, come se non bastasse, la guerra, quella vera, scoppiata quasi per scherzo, orchestrata con modalità stonate, gestita da improvvisazioni e inadeguatezze e caratterizzata da iniziative fitte di interessi estranei alla causa  e da provvedimenti rivelatisi peggiorativi del quadro strategico globale . Senza dimenticare le conseguenze del poderoso attentato terroristico dell’11 settembre 2001 portato dall’ISIS fino al cuore degli USA. Conseguenze che dovrebbero anche esse essere sviscerate e studiate nella loro genesi, nel loro compimento e negli sviluppi ottenuti. Si ha a volte, nella storia dell’umanità, l’impressione che una volontà estranea al benessere ed alla pace dei popoli, dotata, si fa per dire, di una personalità folle o stupida, prenda improvvisamente a guidare i potenti della Terra e li costringa a compiere enormi errori che diventano poi causa di distruzioni, morti, stragi, povertà e sofferenze senza fine. Da quell’11 settembre molti Paesi europei, impegnati in Iraq, in Afghanistan, nel Libano, in Africa, hanno comunque toccato con mano la triste sorpresa di non disporre di mezzi adeguati e sufficienti per fare fronte alle situazioni di conflitto necessarie ed  irrinunciabili, cosicchè proprio le Nazioni Europee chiamate a garantire la sicurezza dell’Occidente in concorso con gli Stati Uniti d’America,  sono state impegnate in operazioni all'estero, dal 1991 al 2020. Sicuramente otre l’impegno profuso per tutta la durata della cosiddetta “guerra fredda”. Il fenomeno ha dato vita a particolari intitolazioni delle operazioni di “non guerra” con l'uso ufficiale di tutte le perifrasi possibili, operazione per il mantenimento della pace detta “Peace keeping” , alla “lotta contro il terrorismo”, all'impiego in occasione di  pubbliche calamità, al pattugliamento delle città per motivi di sicurezza interna o a protezione di ambasciate, Sinagoghe, punti sensibili, così cercando di negare formalmente lo stato di guerra permanente in cui l’intero Occidente è stato “ob torto collo” proiettato. Forse, una cecità da pacifismo, oppure indicibili motivi pseudo strategici, oppure errate valutazioni circa le origini del pericolo, o eccessiva fiducia accordata a personaggi nazionali di alto livello, ma scarsamente affidabili.

Dividendi derivati dall'obnubilamento

La guerra in Ucraina ha avuto almeno il merito di far aprire gli occhi sulla realtà della guerra, anche se tutto ciò é avvenuto quasi troppo tardi. Il materiale é vecchio ed in alcuni casi vetusto, le caserme sono in cattive condizioni e gli eserciti occidentali, sempre più ridotti, si domandano se sarebbero in condizioni di sostenere uno sforzo militare di alta intensità, e se le marine, con gli effettivi ridotti risultano ancora in condizione di far fronte ai loro compiti istituzionali. Eppure, fiscalità ed indebitamento non hanno cessato di accrescersi, ma non certamente a vantaggio degli eserciti, e contrariamente alla vocazione iniziale delle imposte. I “dividendi della pace” si sono rivelati i dividendi dell'obnubilamento, sulle minacce strategiche, sulla presenza di nemici, sulle possibilità di impegni degli eserciti. A tutto questo vanno aggiunte le lacune gravi nel pensiero strategico e nell'analisi geopolitica. In effetti, una volta dettate le logiche imposte dalla moda o dal modo di pensare, le amministrazioni della nazioni europee sono diventate vittime di un glaucoma geopolitico che ha contribuito a restringere ancora di più il loro orizzonte visivo. Senza una politica comune araba, senza una politica comune africana o asiatica, senza una logica comune in politica estera a Bruxelles, in Occidente ogni nazione procede o in ordine sparso o perfettamente allineata con lo zio Sam . L'attacco del 7 ottobre 2023 in Israele ha sorpreso tutti per un nuovo ritorno della guerra e per il timore di problemi interni provocati dall'estremismo islamico. In questo conflitto esiste una parte razionale ed una emotiva e sensibile forte che tronca le opinioni e separa i campi. Ma di tutti i paesi occidentali, Israele é quello che ha la più grande esperienza della guerra sul suo territorio, avendo a disposizione una società civile pienamente impegnata nella protezione della sua nazione e di un esercito agguerrito per una guerra quotidiana.

Dividendi della storia

Se gli occhi dell'Occidente si sono nuovamente aperti sulla guerra, occorre anche che esso apra gli occhi sulla sua storia, per trarne ispirazioni e riflessioni sulla guerra attuale. Il parallelo fra la guerra in Israele ed altre guerre simili, come quella d'Algeri, fra la tattica di HAMAS e quella condotta a suo tempo da altri Fronti di Liberazione Nazionali può risultare chiarificatore. Rileggere la storia, attualizzandola, consente di rispondere alle sfide del momento o contemporanee. Le guerre rivoluzionarie e di insurrezione, affrontate dalle ex potenze coloniali occidentali, tornano nuovamente d'attualità, per altre cause, in Israele e sui territori nazionali. Gli autori classici ci possono insegnare molto, non certo per copiarli, ma per assimilarne le logiche ed il modus operandi. La fine dell'obnubilamento pacifista passa attraverso una lettura degli avvenimenti del passato e degli autori di allora. Piuttosto che pagare gli interessi della nostra cecità, occorrerebbe capitalizzare anche e soprattutto dai dividendi della nostra storia.


Massimo Iacopi

 

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