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C’ERA UNA VOLTA IL CATECHISMO

      

   

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Pensiero di:

C. SARCIA'


Nessuno sa più chi è e dov’è Dio. I ragazzi islamici invece imparano a memoria i versetti del Corano

 

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C’ERA UNA VOLTA IL CATECHISMO

Nessuno sa più chi è e dov’è Dio. I ragazzi islamici invece imparano a memoria i versetti del Corano

(Greccio - Sant'Elena, 07/06/2015)

Chi è Dio? Dio è l’essere perfettissimo creatore e signore del cielo e della terra. Dov’è Dio? Dio è in cielo in terra e in ogni luogo; Egli è l’immenso

Il catechismo ce lo insegnavano così: domanda e risposta.  Lo sapevamo a memoria. Se non lo imparavi a memoria non potevi fare la prima comunione. La prima comunione era praticamente una cerimonia di iniziazione. A 10 anni, diventavi un cristiano a tutti gli effetti e facevi parte della comunità a pieno titolo. Era come se diventassi maggiorenne. Ti era riconosciuta infatti la maturità, la capacità di prendere impegni solenni, il potere di accettare e rifiutare e soprattutto ti era riconosciuta la capacità di distinguere tra bene e male. Quindi una maturità vera e propria. Dacché entravi a far parte della comunità cristiana, eri obbligato a confessare i tuoi peccati, ad invocare il perdono, a pentirti, a promettere di non commetterne più di peccati e addirittura eri obbligato a riparare il danno che con i tuoi peccati avevi probabilmente arrecato. Dopo questo pesante rituale ricevevi l’assoluzione e potevi fare la comunione e rientrare di diritto nella comunità, dopo essertene allontanato per effetto dei peccati che avevi commesso. Rialzavi quindi la testa che prima tenevi abbassata per manifestare la consapevolezza di non essere degno e ti sentivi rinnovato, nello spirito e nel corpo, immacolato, puro, come se non avessi mai peccato. Questa era la formazione che ti dava la chiesa cattolica prima del Concilio. Con questo cerimoniale si forgiavano le coscienze. Ti veniva spesso indicato il Timor di Dio come pratica essenziale per vivere e condurre rapporti nella comunità cristiana. Pochissimi in realtà sfuggivano a questo rito: qualche reietto della società, qualche individuo di natura ribelle e qualche sedicente ateo o praticante radicale della dottrina comunista. In realtà non potevi sfuggire. Al confronto, il sabato fascista era una passeggiata. A scuola c’erano parecchie lezioni di religione da frequentare. A casa la mamma, opportunamente istruita dal parroco, fuori e dentro il confessionale, non perdeva occasione per indicarti la retta via, e lo faceva a suo modo, a seconda del suo personale carisma o di ciò che aveva assimilato a sua volta: “non fare questo perché il diavolo ti si mette dietro la spalla al posto dell’angelo custode, non dire quello perché fai peccato, non pensare a quell’altro perché i peccati si fanno anche col pensiero…” e così via. Diciamocelo in un orecchio, erano in tanti i comunisti che mandavano i figli a studiare dai preti: le femmine dalle orsoline e i maschi dai salesiani. Finite le lezioni di catechismo in chiesa, per prepararsi alla prima comunione, cominciavano le lezioni per prepararsi alla cresima. Ci dicevano che con la cresima diventavamo soldati di Gesù Cristo. Pensandoci bene, a mente fresca, la cresima in pratica ci obbligava a difendere e diffondere il vangelo, anche a costo del sacrificio, ossia del martirio. Una grossa responsabilità ed un peso morale e materiale forse troppo grande per l’età che avevamo. Comunque, se per caso il pomeriggio non c’erano lezioni di catechismo da frequentare, c’era l’oratorio. Si giocava al pallone (rigorosamente di pezza), ai quattro cantoni, a nascondiglio… e si guardavano certi cortometraggi proiettati dal parroco con macchinette rudimentali a riflessione di immagine, nelle quali la “pellicola” era costituita da un rotolo di carta di giornale, realizzato incollando con la colla di farina le strisce dei fumetti pubblicati sul Corriere dei Piccoli o sul Vittorioso (periodico illustrato dell’Azione Cattolica). Poi, in certi periodi, mese di maggio, quaresima, periodo pre natalizio, appena rientravi a casa, la mamma ti coinvolgeva ob torto collo nella recitazione del rosario che si concludeva con una lunga serie di “Ora pro nobis” da ripetere in ginocchio e possibilmente senza ridere o sghignazzare di sottecchi insieme ai fratelli e alle sorelle che subivano la stessa tua sorte. A scuola non è che la musica fosse tanto diversa. I maestri e i professori avevano sempre ragione. Guai a lamentarsi. Come minimo ti beccavi un ceffone dal papà. La mamma era più “buona”: ti sequestrava e ti bruciava i fumetti che ti aveva prestato l’amico del cuore (Gim Toro, il Piccolo Sceriffo, ecc.). Alla fine le scuole superiori si facevano tutte d’un fiato. A quel ritmo e con quel trattamento, non si vedeva l’ora di andar via da casa. L’occasione di andar via da casa era comunque certa e sicura. A 19-20 anni, ti arrivava la cartolina precetto e partivi per fare il militare. Non facevi in tempo a rallegrarti per essere uscito dalle grinfie amorevoli della mamma, del papà, del parroco e dei professori e ti ritrovavi davanti a un sergente che a forza di attenti, riposo, avanti marc’ e alt,  ti trasferiva in una dimensione irreale e surreale alla quale ti abituavi ben presto. Del resto non avevi altra scelta. Vero che a fare il militare non ti bruciavano i giornaletti, ma se sgarravi, ti schiaffavano semplicemente “dentro”. Così imparavi a tacere, sgranavi gli occhi e aprivi le orecchie e prestavi tutto il tuo intelletto per aggiungere al substrato di catechismo, regole familiari e regole scolastiche, le regole del cittadino in uniforme, garante della libertà del paese, ancora una volta invitato a giurare fedeltà, questa volta alla patria. Il che ti prospettava di nuovo la possibilità di subire il martirio, in combattimento, per difendere la patria contro un nemico, per fortuna improbabile, ai tempi nostri.  Con questa scuola, con questi insegnamenti, con queste esperienze, crescevano e maturavano i cittadini italiani, si forgiava il loro carattere e si rinvigoriva la determinazione degli individui che avrebbero costituito la spina dorsale della società italiana. Si apprendevano infatti la rinuncia, la capacità di saper attendere, la forza di rimandare, l’orgoglio della partecipazione, il concetto di sacrificio. Quindi i politici, i burocrati statali, gli insegnanti, gli industriali, gli imprenditori, i lavoratori di tutti i ceti, insomma le realtà umane e sociali che avrebbero, di lì a poco, mandato avanti il paese, provenivano tutti da un unico tipo di “scuola”, formativo del carattere solidale e della volontà positiva. Per questo funzionava il paese. Perché a dirigerlo era gente che aveva maturato a tempo debito la coscienza, il senso di responsabilità, il rispetto per gli altri, il sentimento di solidarietà, il senso dell’autorità, l’amor di patria e il rispetto della regole. E se vogliamo, anche i principali fondamenti religiosi che stanno all’origine della storia umana e a base delle aggregazioni sociali. La conclusione è persino ovvia: la società è cambiata; gli individui hanno subito modificazioni irreversibili nel carattere e nel modo di pensare; le sinergie che cooperavano alla formazione dei giovani si sono tutte disperse, consumate, sono state abrogate, sostituite dalla tecnologia... che  non insegna un bel nulla quanto a valori e doveri. Le sedi deputate per natura e per consuetudine alla formazione dei giovani non sono più riconoscibili. Dove sono finite la famiglia, la parrocchia, la scuola, la leva militare ? I frutti perniciosi di queste trasformazioni si toccano con mano ogni giorno. Intanto i mussulmani continuano, imperterriti, a forgiare il carattere dei loro figli a forza di versetti di Corano mandati a memoria, di indottrinamenti tribali e di morale jihadista.


 

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